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La battaglia Etnie a Dakar Odori d'Africa Negritudine Goree I parchi

Diario dal Senegal

di Roberto Barat

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L'harmattan che soffia da nord est porta la sabbia. Una sabbia giallastra e secca proveniente dalle dune del Sahara. Il settentrione del Senegal è già in pieno Sahel, parola che vuol dire "al limite del deserto". Ma qui il limite è molto difficile da stabilire. Dove una volta c'erano villaggi più o meno ricchi, oggi infatti ci sono spesso dense dune arancioni alte fino a dodici metri.
"Il deserto sta venendo sempre più a Sud - spiega Seynabou Samadjé, che ci ha guidato durante una parte del nostro viaggio -. Solo pochi anni fa, le strade che uscivano da Dakar in direzione Louga o Tambacounda erano pulite, la savana filtrava e fermava la sabbia. Ora invece, già pochi chilometri fuori Dakar, l'asfalto si copre spesso di una polvere sottile, rossa e arida". È il carico sterile che l'harmattan, il vento del Sahara, porta con sé.
La battaglia contro il deserto è stata avviata già molti anni fa. Inizialmente si limitava alla sola piantumazione degli eucaliptus, capaci di trattenere l'acqua anche dove questa scarseggia. Poi a questi sono state aggiunte altre varietà arboree, oltre a tentativi di portare l'acqua dal sud del Paese, dove abbonda.
"Purtroppo all'inizio le popolazioni del Sahel senegalese - continua Samadjé - tagliavano gli alberi per farne combustibile. Dicevano che cuocere con il gas delle bombole non dava gli stessi aromi e sapori garantiti invece dai tradizionali forni a legna". E non solo. La legna degli alberi serviva per produrre mobili, case e utensili per una popolazione che cresce a ritmi del 10 per cento l'anno.
Poi le cose sono leggermente migliorate. In alcune aree del nord i  programmi di riforestazione hanno funzionato e i progetti studio introdotti nelle campagne per insegnare ai contadini come sfruttare la poca pioggia che cade su queste terre stanno producendo i primi frutti.
In alcuni villaggi si è costruito sopra le vecchie case, dopo che queste erano state coperte dalle dune del deserto. In altri, invece, il Sahara è avanzato troppo. Ha portato a termine la sua opera e ora i tetti di paglia spuntano vuoti dalle dune. A memoria che la battaglia è tuttaltro che vinta.
Il risultato è che oggi Dakar, raccogliendo sia le etnie del nord sia quelle del sud (in marcia verso la capitale alla ricerca di un lavoro), è arrivata a contare due milioni di abitanti, sui circa dieci dell'intero Senegal. E così, oltre a un'urbanizzazione convulsa che ha tagliato in due la città, il centro storico (dove ben convivono modernità e testimonianze coloniali) e la nuova periferia, si è assistito a un fiorire di moderne professioni, insoliti commerci, nuova vitalità. Una vitalità che ben si respira lungo i viali che partono da place de l'Indipendence, punto di riferimento per il visitatore che si accinge a scoprire Dakar. Una vitalità che raggiunge il suo apice nel coloratissimo mercato di Sandaga, tra avenue Lamine Gueye e avenue Pompidou. Un mercato questo, dove si può trovare davvero di tutto. Dalle parrucche in simil nylon che le dakaroises usano per "migliorare" le loro acconciature, con risultati non sempre soddisfacenti a dire la verità, alla paccottiglia turistica, tipo statuine in "mogano" o "ebano" che non rendono onore ai poveri leoni o giraffe cui si ispirano gli scultori senegalesi. Un mercato in cui si trovano anche le più "moderne" tecnologie. A noi è stato, più e più volte, proposto l'acquisto di un telefono. Un vero telefono, completo di cavi e agendina di carta e, forse, anche funzionante.
Più reale, e dove i toubab...


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