Africa
L'Africa di Continentenero Travel

foto foto dell'africaviaggi in africa Africamappe cartine africasiti confini africalibri tanzaniasolidarietà sud africatour operator sitemapsite map

 

In viaggio con Continentenero Travel


Uganda: in viaggio con i cooperanti

di Marco Pontoni
marco_pontoni@yahoo.it


Scarica la mappa

L’Uganda è L’ex-gioiello dell’impero coloniale britannico, ma raramente ha conosciuto una vera pace. Anche se gli anni 70, caratterizzati dalla feroce dittatura di Idi Amin, sono ormai lontani, la situazione è ancora incerta.
Così, ad esempio, monsignor John Baptiste Odama, arcivescovo di Gulu, capoluogo dell’omonimo distretto nord ugandese, ha commentato l’arrivo, ai primi di luglio, del numero uno della Casa Bianca in Uganda, penultima tappa di un breve tour africano: "Il presidente degli Stati Uniti deve sapere che l’Uganda non è un Paese dove regna la pace: la zona settentrionale è scossa da violenze e combattimenti e nella agenda di George W. Bush non possono figurare solo temi quali l’Aids o la lotta al terrorismo". Il riferimento è alle violenze dei ribelli del sedicente Esercito di resistenza del signore (LRA) di Joseph Kony, appoggiato dal governo sudanese, che combatte da 18 anni una guerra ad oltranza contro le truppe governative. Una guerra che comporta il rapimento dei bambini - oltre 20 mila finora, arruolati forzosamente nelle fila della guerriglia - e che ha generato ben 850 mila sfollati Il governo del presidente Yoweri Museveni, giunto al potere nel 1986, ha cercato faticosamente di riportare la stabilità politica e sociale, nonché di ripristinare le istituzioni democratiche (risale al 1994 l’elezione dell’Assemblea Costituente che ha successivamente elaborato la nuova costituzione ugandese, ed al 1996 l’elezione del Presidente della Repubblica e del Parlamento. Ultime presidenziali: marzo 2001). Tuttavia vaste aree del paese non sono ancora state "normalizzate". Inoltre l’Uganda è stata recentemente coinvolta nella guerra del Congo-Zaire, combattuta essenzialmente per il controllo delle enormi ricchezze del paese.

La Karamoja Ho visitato recentemente il paese assieme ad una delegazione trentina, volata laggiù per monitorare le attività di cooperazione allo sviluppo svolte da alcune Ong e associazioni umanitarie. Volando da Kampala, la capitale dell’Uganda, verso la regione della Karamoja, nel nord-est, la savana sotto di noi appare insolitamente verde. Il fatto è che da poco ha finalmente piovuto, dopo tre anni di siccità. Così, ora il raccolto di sorgo, l’unico cereale in grado di crescere su questa terra arida, fa ben sperare. Atterriamo a Moroto, il principale centro amministrativo. Qui in verità non c’è aeroporto né controllo di dogana. Solo una pista sassosa nel cuore della solitudine, e due suore che sono venute a prenderci con un vecchio pulmino. La Karamoja è abitata da una popolazione di pastori seminomadi, di origini nilotiche. La visitò Moravia in uno dei suoi innumerevoli viaggi africani, nel 1971; e la descrizione che ne dà in un capitolo del suo A quale tribù appartieni? non è molto diversa dall’aspetto che la regione ha attualmente. Ragioni culturali - in particolare l’abitudine di razziare il bestiame altrui - ma anche la classica insofferenza delle popolazioni nomadi verso ogni forma di controllo spiegano il conflitto che oppone da sempre i Karamojong alle popolazioni vicine (come i Masai del confinante Kenya) e al governo centrale, e i frequenti scontri interclanici. Ma se una volta l’arma era la lancia, ora è il mitra. I volontari che incontriamo sono in Karamoja dal 1989: vengono in 20-30 alla volta, in genere fra febbraio e marzo, molti prendendo ferie. Si fermano chi due settimane, chi un mese o più, e costruiscono un pezzo di scuola, un laboratorio, un’infrastruttura che manca o cade a pezzi.
Andiamo al locale assessorato all’educazione. Paul Abul, il suo responsabile, ci spiega che solo 12 abitanti su 100 sanno leggere e scrivere. Ma è alla Casa delle suore di Madre Teresa che la povertà di questa regione ci colpisce come uno schiaffo. Decine di persone, soprattutto donne, anziani, bambini, fanno la fila per ricevere la loro razione settimanale di cibo, donata dagli organismi umanitari. Attualmente, ci spiega Lorenzo Giacomoni, che ci fa da guida, vengono assistite così quasi 200 persone.Più in là, l’orfanotrofio, che comprende anche un asilo nido e delle aule scolastiche. Non tutti i bambini sono veramente senza genitori: molti vengono abbandonati perché le famiglie non possono sostentarli, come succedeva un tempo ai nostri "esposti". Ma Moroto ha anche un altro volto. Quello del Seminario di Nadiket, ad esempio. O quello della scuola di Naoi - con annessa falegnameria e fabbrica di mattoni - che i volontari trentini vorrebbero ampliare, con il sostegno della Provincia. Attorno montagne basse, e savana a perdita d’occhio. Un paesaggio affascinante, che mi piacerebbe splorare. Ma la zona è pericolosa. Solo una settimana dopo la nostra visita due missionari verranno uccisi, poco a nord di Moroto.

Arua e il West Nile Voliamo dall’altra parte del paese, oltre la strada azzurra tracciata sulla savana dal corso del Nilo, che lentamente risale il continente alla volta del Mediterraneo. Fino ad Arua, capitale del West Nile, quasi al confine con la Repubblica democratica del Congo e il Sudan.All’aeroporto di Arua troviamo ad attenderci i responsabili dell’Acav, un’altra Ong trentina, assieme alle autorità locali, guidate dal presidente del Distretto Andama Ferua, e alla banda cittadina. Arua è una città di discrete dimensioni, con una bizzarra traccia del passato coloniale: un campo da golf con perfetto prato all’inglese. C’è anche un mercato splendido, dove si può trovare di tutto: cibo, vestiti, stoffe dal Congo, e poi ferramenta, pezzi di motore e di bicicletta e quant’altro. Arua ha dato i natali a Idi Amin, il dittatore morto proprio lo scorso agostoin esilio a Gedda, Arabia Saudita. Amin era di umilissime origini ma di stazza imponente: fu "allevato" in seno all’esercito coloniale britannico negli anni che precedettero l’indipendenza, per poi prendersi il potere nel 1971, con un colpo di stato. Sostenuto da libici e sauditi, nel 1979 venne cacciato dai tanzaniani e dovette abbandonare il paese, lasciandosi alle spalle qualcosa come 300.000 mila morti. In questa regione sono stati realizzati diversi progetti nei settori dell’acqua, della scuola e formazione professionale, della sanità, dell’agricoltura, dell’assistenza ai profughi. Visitiamo alcuni dei frutti di questi sforzi. Dopo i saluti del sindaco Thabit Khalfan, raggiungiamo lo Health Centre - Centro Salute "Città di Trento", inaugurato nel 1998. Questo dispensario, comprendente reparti di maternità e ostetricia nonché ambulatori per visite e analisi, assiste mensilmente circa 1.500 mamme e 1.300 bambini, e svolge un doppio ruolo, interno ed esterno. Da un lato, quindi, cura le madri e i bambini, se necessario anche ricoverandoli (i casi più frequenti di malattia fra i bambini sono quelli di dissenteria e di malaria, che viene curata con flebo di clorochina); dall’altro svolge tutta una rete di attività altrettanto importanti sul territorio: assistenza domiciliare, campagne di vaccinazione o di prevenzione, persino l’educazione sessuale e la contraccezione (che significa anche prevenzione nei confronti dell’Aids). In Uganda le strutture private - comprese quelle dei centri missionari - si integrano con quelle pubbliche."Nei villaggi - spiega il dottor Armando Borghesi, 12 anni di Uganda alle spalle - la gente viene innanzitutto in contatto con alcune figure della cosiddetta medicina tradizionale: la levatrice, lo stregone, il medico-guaritore, che conosce l’uso delle erbe e altre pratiche tradizionali come le scarificazioni o l’espianto dei denti, che spesso provocano infezioni mortali. In seconda battuta c’è il dispensario, dove di solito non ci sono medici, ma infermiere diplomate - in grado di fare anche piccole operazioni - e a volte l’ostetrica. Il terzo livello è l’ospedale, che a sua volta può essere pubblico o privato. In genere nell’ospedale pubblico l’assistenza medica è gratuita, ma il paziente deve procurarsi le medicine e il cibo. Questo spiega perché fuori dagli ospedali africani spesso ci sia una folla di persone che cucina su piccoli fornelletti o lava e stende i panni: sono i parenti del malato, che provvedono alle sue necessità. Per i più poveri, l’ospedale gestito dai missionari è sempre aperto". Sempre ad Arua è attivo da tre anni il centro di formazione professionale di Ma Ecora ("Insieme possiamo farcela"), sorto con il concorso di aiuti pubblici e privati. Centinaia di giovani - soprattutto profughi dalla Repubblica democratica del Congo - sono passati per i suoi laboratori di falegnameria, carpenteria, taglio e cucito, ma anche di computer, lingua inglese e attività artistiche, trovando poi un lavoro. Ora però le iscrizioni sono troppe e la struttura scoppia. Per questo si è deciso di costruire un nuovo e più grande centro.Il pomeriggio è dedicato all’acqua. In due villaggi ad un’ora di macchina circa da Arua, Koboko e Dranya, assistiamo all’inaugurazione di due pozzi. Il primo, servirà 2.400 persone, il secondo 2.600, più tutte le persone di passaggio. E l’acqua, qui, nella savana, è vita. Serve per bere, per cucinare, ma anche per far funzionare i servizi igienici. Per averla, spesso le donne (o i bambini) devono fare ore di cammino. Entrambi i pozzi sorgono vicino a complessi scolastici; la loro manutenzione sarà assicurata dalla gente del villaggio tramite un’autotassazione. Ma dove conservare il denaro? "Servirebbe una cassaforte" dicono a Koboko. È il caso di dire che l’Africa riesce sempre a stupire.In entrambi i villaggi l’incontro con le autorità, gli studenti, la gente, avviene all’ombra di un albero di mango. L’accoglienza è quella che ormai conosciamo: calda, commovente, fatta non solo di discorsi ma anche di musica, di danze.

Kampala Lasciamo Arua sotto la pioggia e su un aereo più affollato del previsto (dando "un passaggio" a quattro viaggiatori che devono raggiungere la capitale). Ma prima riusciamo a salutare l’arcivescovo Federico Drandua, e a incontrare i bambini dell’orfanotrofio dell’arcidiocesi. Nella città di Arua i sieropositivi o malati di Aids sono circa il 20 per cento della popolazione; nelle aree rurali la percentuale si abbassa ma il numero degli orfani è comunque altissimo. "Qui il pane è assicurato - ci spiega l’arcivescovo - ma è difficile garantire a questi bambini e bambine un’istruzione, se non se ne fa carico qualche parente". Ecco perciò la richiesta di un sostegno per fornire agli scolari libri, quaderni, divise, insomma l’indispensabile per poter frequentare una scuolaNel pomeriggio raggiungiamo Kampala. È una grande città, distesa su sette colline, interessante e piena di traffico, con tutte le contraddizioni delle metropoli del Terzo Mondo. I quartieri delle ambasciate e degli alberghi da un lato, le baraccopoli dall’altro. Molte moschee e proprio nel centro, vicino allo stadio, anche un grande tempio indù (gli asiatici sono la spina dorsale dell’economia; Amin li cacciò brutalmente, ma poi molti sono rientrati).Visitiamo Mulago, una baraccopoli alla periferia di Kampala in cui vivono anche molti rifugiati. Le condizioni sono miserrime, eppure, miracolosamente, tutto sembra funzionare, rispondendo ad una logica interna che noi possiamo solo intuire. Cooperanti e religiosi ci raccontano storie di rapine a mano armata subite in pieno centro. Eppure, tutti sono concordi nel dire che un tempo era molto peggio. L’ultima immagine dell’Uganda sono le sorgenti del Nilo, a Jinjia, una delle principali città del paese, a circa un’ora di macchina da Kampala, su una buona strada asfaltata. Il fiume esce dal Lago Vittoria formando delle rapide. Nella luce incerta del tramonto, il paesaggio è aspro e magnifico.