Una sfida, costruire nel nulla un’opera così imponente. Ma la sfida è insita nello spirito del popolo eritreo, abituato da sempre a sfidare forze superiori, con una fiducia incrollabile nelle proprie capacità.
Il deserto, luogo del reale e dell’immaginario, custode di storie infinite, suggestione di viaggiatori incantati, maledizione di fuggiaschi o di incauti turisti, pista di nomadi, di avventurieri, si addice, metaforicamente, alla solitudine di un piccolo paese africano, spesso ingiustamente dimenticato. Stimola l’immaginazione, la curiosità, questa oasi in muratura con aria condizionata e aiuole fiorite, e pochi, pochissimi viaggiatori in transito.

Le nostre prime isole sono le Auachil, visibili da Galaalol. Partiamo il mattino presto, dopo la prima notte in albergo. Più che una gita, la nostra è una gimcana. Dobbiamo trovare l’isola delle tridacne, e l’isola della barriera corallina. I tre gommoni, ognuno per proprio conto, ma non distanti fra loro, vanno alla ricerca del tesoro perduto. Tutti sanno ma nessuno trova. Del resto queste piccole isole, splendidi atolli di polvere di corallo, non si differenziano molto l’una dall’altra. La mia amica Solin e io, prive di certezze, ma con molta pazienza e incantate da quel mare, ci lasciamo trasportare, approdando ora su un’isola ora su un’altra, camminando sulle spiagge candide, tra conchiglie e uccelli.
Mentre scendiamo sull’isola delle tridacne, un airone Golia, disturbato da tante e inopportune presenze, distende le immense ali e spicca il volo.
Finalmente la barriera appare con i suoi pesci multicolori attorno ai rami di corallo.
Non possiamo rimanere a lungo, dopo il tempo trascorso fra un’isola e l’altra.
Inoltre il mare si sta alzando, ed è meglio non sfidare le onde con i nostri gommoni.
Salutiamo i numerosi capretti apparsi come d’incanto sull’isola, e venutici incontro quasi festosi.
Terza parte >