Riprendiamo il percorso all’alba del giorno seguente, dopo le spaghettate e gli zighinì nella fortezza bianca di Galaalol.
Ci seguono le catene dei monti, trasparenti nei riflessi dell’alba, ci seguono dune che brillano al sole che si sta alzando rapidamente.

E’ un viaggio di intense emozioni, nei grandi spazi deserti dove appare una carovana di cammelli, gazzelle che fuggono spaventate, velocissimi struzzi, qualche sciacallo.
Durante una breve sosta, fra la sabbia chiara della costa e la terra nera di lava, vediamo numerosi fossili, sparsi qua e là, come comuni sassi.
Sono conchiglie perfettamente conservate, chiuse su secoli remoti che non riusciamo a immaginare, giunte a noi attraverso innumerevoli sconvolgimenti naturali di queste vulcaniche terre.
Verrebbe voglia di raccoglierle, di portarle fra gli inutili oggetti di mondi inquinati.
Meglio lasciarle ai loro spazi, al silenzio, al tempo che ancora attraverseranno, mentre di noi, precari viaggiatori, si perderà memoria.
Nel pomeriggio inoltrato, appare, sulla costa, un faro.
E’ bello vederlo, in tanto deserto, custode ormai spento di un mare solcato da qualche sambuco, da poche barche di pescatori. Lunghe corna di antilope giacciono sulla sabbia che mostra tracce del passaggio del vento. Il sole scende rapidamente dietro i monti, lo splendore degli ultimi bagliori si perde nel buio.
Finalmente un villaggio. E’ Thio, con le sue casette bianche, la moschea, Thio che si illumina un attimo di luce elettrica, un segno di benvenuto, forse, ai viaggiatori, e subito si spegne.
Quarta parte >